Capita spesso di innamorarsi dell’opera di un o una artista e, ancora più spesso, di rimanere delusi quando li si conosce o li si sente parlare. Non è così per Céline Sciamma. Oggi a Milano all’anteprima di “Ritratto della giovane in fiamme” allo Spazio Cinema Anteo, Céline ha raccolto tantissimi applausi dal pubblico che ha riempito la sala, almeno quanti pochi minuti prima ne aveva raccolti il suo ultimo capolavoro.
Céline e Milano
“Ultimo capolavoro” perché è l’ultima sua produzione ed è ancora una volta un capolavoro: chi ha visto “Tomboy” – presentato in anteprima sempre allo Spazio Cinema Anteo nel 2011 dal Festival MIX Milano – o “Diamante nero”, meglio noto come “Bande de filles”, avrebbe potuto pensare che la 41enne Sciamma avesse già così giovane profuso tutto il suo talento nella scrittura e nel cinema. Ma non è così.
“Ritratto della giovane in fiamme” avrebbe potuto di diritto vincere la Palma d’Oro a Cannes e non solo il premio per la miglior sceneggiatura, che è comunque un premio alla Sciamma perché Céline i film, che egregiamente dirige, se li scrive da sola. Non è un caso che gli studi di cinema siano venuti solo dopo una laurea in letteratura e non è un caso che storie così belle sulle donne se le debba scrivere da sola. Nel sentirla parlare e rispondere con intelligenza e profondità alle domande del pubblico e di Paolo Mereghetti, la bellezza delle immagini e la profondità dei dialoghi ai quali si è appena assistito assumono un senso compiuto. Le domande peraltro non avevano bisogno di traduzione perché Céline ama il nostro paese e lo dimostra comprendendo perfettamente la nostra lingua e omaggiando la nostra Milano, descritta nel film come “città di musica” (e di cinema e arte aggiungerei io).
“Ritratto della giovane in fiamme”
Un film quello che abbiamo visto oggi di cui non si sa se amare di più la sapiente regia, la bravura delle due protagoniste (una bella e l’altra più bella, scegliete voi quale) o la sfolgorante fotografia di Claire Mathon, inondata da un sole che testimonia come persino la piovosa Bretagna sia riuscita a ribellarsi alla sua natura pur di accompagnare una sceneggiatura ribelle. In un film quasi privo di colonna sonora è solo la poetica delle immagini in costumi d’epoca a dare il ritmo e l’intensità a una storia bellissima e straziante.
Perché è di questo che parla il film: una ribellione delle anime più che dei corpi perché le protagoniste Marianne ed Héloïse sembrano piegarsi al loro destino di separazione ma le scene finali (“la prima e l’ultima volta in cui l’ho rivista”) mostrano con grande trasporto lirico quanto invece niente e nessuno al mondo potrà veramente separare le due amanti. Una ribellione che diventa invece anche fisica proprio nella figura del personaggio della domestica Sophie per la quale la Sciamma ha ritagliato appositamente un ruolo anomalo rispetto a quello che alle domestiche viene in genere affidato nelle rappresentazioni artistiche più diffuse. Non schiave perché di una classe sociale inferiore ma capaci di portare a termine con coraggio un aborto in una delle scene più poetiche del film, quella che accosta un momento così tragico per la vita di una donna proprio alle carezze del neonato figlio della levatrice.
Una scena, come ha spiegato la Sciamma oggi all’Anteo, così carica della sorellanza da parte delle altre due che deve essere affidata alla memoria del tempo ed è per questo che viene dipinta da Marianne mentre Héloïse fa da modella per la levatrice.
Un film sulle donne per le donne
Il film parla quindi di ribellione ma anche di annullamento dei ruoli e delle classi sociali imposti dalla cultura etero-patriarcale. “Ritratto della giovane in fiamme” è un film che vuole negare tutte le ruolizzazioni, compresa la relazione artista/modella che diventa paritaria e non distonica, e vuole fornire tutte le rappresentazioni più censurate dalla nostra società e non solo quella della relazionale passionale e intensa tra due donne. La Sciamma oggi ci ha spiegato come la scelta di rappresentare un aborto sia stata fatta per rivendicare la presenza di un evento che, nonostante avvenga quotidianamente, per scelta o per sventura, per tantissime donne, è così poco rappresentato nell’arte. Ci ha spiegato anche di aver scelto invece di non rappresentare direttamente il patriarcato, che pure permea tragicamente l’intera costruzione della storia, realizzando un film in cui gli uomini compaiono solo per pochi secondi e quando lo fanno è per riportare alla realtà, quella patriarcale appunto, le due ribelli. Perché la Sciamma rivendica a gran voce di aver scritto un film sulle donne e per le donne che non esita a chiamare femminista regalando al femminismo anche un richiamo intenso e diretto nella scena del canto al falò delle governanti.
Un film così destrutturante forse non potrà mai vincere la Palma d’Oro a Cannes ma di certo con questa storia la Sciamma voleva parlare di tante ribellioni ed è riuscita a farlo benissimo perché in realtà in questo film le è riuscito bene proprio tutto.
Grazie Céline.
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