“Il n’y a de vrai au monde que de déraisonner d’amour”, “Non c’è niente di più vero al mondo che dire sciocchezze sull’amore”, dice l’esergo del poeta e drammaturgo francese Alfred de Musset posto da Xavier Dolan in apertura de “Les Amours imaginaires”, presentato nel 2010 al Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard, dove ha vinto il premio Regards Jeunes, e portato in Italia dal MiX Festival – come già avvenuto per il precedente, il folgorante “J’ai tué ma mère” – per inaugurare la sua 25° edizione. Sin dal suo esordio, Dolan è infatti stato subito intercettato dal MiX Festival, che ha riconosciuto nel cineasta un nuovo grande talento, ancora giovanissimo, prima che molti anni dopo venisse ampiamente distribuito anche in Italia. Proprio l’assenza di un distributore, portò il MiX a realizzare una copia speciale della pellicola del film sottotitolata in italiano. Nei confini di quella frase iniziale c’è già tutto il tracciato della verità intima e bruciante con cui la pellicola – e forse, a ricostruirlo a posteriori, la maggior parte della cinematografia di Dolan – si confronta.
Il ventenne Francis (Xavier Dolan), look anni Ottanta e ciuffo alla James Dean, e la venticinquenne Marie (Mona Choukri), tutta fili di perle, tubini e foulard in stile Audrey Hepburn, sono amici molto stretti e vivono nella canadese Montreal. Un giorno entrambi rimangono folgorati dalla vista di Nicolas (Niels Schneider), un ragazzo misterioso proveniente dalla campagna e appena arrivato in città. Sia Francis che Marie cercano di sedurre il giovane e attirare la sua attenzione, ma questi non manifesta una preferenza esplicita e adotta degli atteggiamenti ambigui con entrambi, alimentando le gelosie dell’una e dell’altro. Francis e Marie sognano, desiderano, venerano Nicolas, ma non hanno il coraggio di esporsi, cercando di conquistarlo senza mai scoprirsi totalmente. Gli lasciano messaggi sulla segreteria telefonica, gli inviano per posta poesie battute a macchina, ma il loro amore non può che restare immaginario.
Concentrandosi sui gesti, sui silenzi e sulle aspettative di chi cerca disperatamente di fare breccia nel cuore della persona amata, il cineasta francese predilige le immagini alle parole per raccontare il microcosmo di emozioni e percezioni degli innamorati, affondando le proprie radici nella Nouvelle Vague e muovendosi con leggerezza fra i toni del melodramma e quelli della commedia, in cui emergono già quelli che nel tempo diventeranno dei suoi elementi connotativi: l’uso del ralenti, l’impiego di brani pop a fini drammatici, l’attenzione alle tematiche queer.
Dolan ha infatti sempre portato, all’interno delle sue piccole, la propria queerness, l’identità di ragazzo ai margini, che nel caso specifico de “Gli amori immaginari” si esaspera nell’apoteosi della fluidità di un amore che non conosce sconfini e che, nella sua forma non eteronormata e immaginaria, ci appare allora nella sua immagine più bugiarda e più verosimile, cioè quella che a prescindere dall’oggetto del desiderio costruiamo nella nostra testa. Non conta quel (poco) che accade, ma ciò che Francis e Marie fantasticano su Nicolas. A contare sono anzi le proiezioni evanescenti e l’idea dell’amore – più che l’amore in sé –, continuamente ricreate a proprio piacimento. In una serie di confessioni che vertono su tragicomici aneddoti sentimentali, percezioni del desiderio alterate, inganni e soprattutto autoinganni amorosi, Dolan dà vita a un’efficace riflessione sulla stessa percezione dell’amore da parte degli innamorati, sempre inclini a fantasticare su ciò che nella realtà non ha riscontro.