Manifesto

BACK TO LOVE!

Attraversando l’intersezionalità, combattendo contro il vecchio e il “new normal”

Il “Nuovo Cinema Queer” non è solo un filone cinematografico individuato da B Ruby Rich all’inizio degli anni ’90: è una intersezione artistica tra lotta politica, urgenza di nuove espressioni e rappresentazioni artistiche e democraticizzazione della creatività. La situazione sociopolitica che viviamo oggi sembra quindi il contesto più opportuno per la nascita di un rinnovato “New Queer Cinema” necessario non a un supposto “new normal” post-pandemico – e speriamo presto post-bellico – che nulla mette in discussione delle attuali e sempre più attive dinamiche del potere eteropatriarcale, bensì a un radicalmente opposto “new different”. Il MiX Festival già da alcuni anni ha intrapreso un percorso intersezionale per dare il suo contributo a questo tipo di opportunità, esattamente in sintonia con quanto sintetizzato da B Ruby Rich nel titolo del suo interessantissimo ultimo articolo “After the New Queer Cinema: Intersectionality vs. Fascism”1 .

Spesso come organizzatorə ci interroghiamo sul senso che nel 2022 un Festival di Cultura Queer come il nostro possa ancora avere per la nostra comunità e soprattutto per le nuove generazioni che hanno avuto libero accesso ai “Pose” e ai “Drag race” dei media mainstream. La risposta è nelle righe centrali di questa intervista: se la nostra comunità recupererà la spinta rivoluzionaria e creativa che l’ha caratterizzata ai suoi esordi, ci sarà sempre una nuova necessità di espressione che i media mainstream non riusciranno a codificare tempestivamente e quindi a prevedere nei loro palinsesti. Anche allora ad aspettarvi ci sarà sempre il nostro e vostro MiX Festival. Orgogliosamente “Festival Internazionale di Cinema LGBTQ+ e Cultura Queer”.

La Direzione Artistica del MiX Festival
Paolo Armelli, Andrea Ferrari, Debora Guma


1 “The Oxford Handbook of Queer Cinema”, Edited by Ronald Gregg e Amy Villarejo – Oxford University Press, 2021.

 

INTERVISTA

Debora: All’inizio degli anni ’90, quali condizioni politiche e sociali ti hanno fatto sentire il bisogno di coniare un termine come “New Queer Cinema”?

Rich: Ci sono state diverse circostanze. In parte, naturalmente, è stato perché ero così entusiasta di questi nuovi film che venivano realizzati. Nel settembre 1991 andai al Toronto International Film Festival e nello stesso anno partecipai all’enorme festival e conferenza internazionale di Amsterdam sul cinema lesbico e gay e al panel, “Lesbian cinema: After the love story”2. Nel gennaio del ’92 sono andata al Sundance e sono rimasta entusiasta di questi nuovissimi film che vedevo e che mi sembravano così frizzanti, così potenti e, allo stesso tempo, in dialogo con un movimento politico. Non nascevano solo da un’espressione artistica individuale o da un’immaginazione personale: parlavano anche a una comunità che si era formata con la lotta all’AIDS.
È stato anche un momento culturale distintivo in quella che allora veniva chiamata “cultura queer”, un termine nuovo che utilizzava la parola “queer” in senso positivo. Scrissi l’articolo, ma fu solo nella sua terza versione che finalmente riuscii a chiarire di cosa stavo parlando e fu quando fu pubblicato su “Sight and Sound”3 in corrispondenza di una grande conferenza chiamata “New Queer Cinema” all’Institute of Contemporary Arts di Londra.
In ogni caso, quattro cose hanno caratterizzato il “Nuovo Cinema Queer”. Innanzitutto, i dodici anni di repressione politica negli Stati Uniti durante la presidenza di Ronald Reagan e George Bush, quello che pensavamo (allora) fosse il governo più repressivo di sempre. Poi, naturalmente, l’AIDS: ricordiamo che il cocktail per l’AIDS, che ha trasformato l’infezione in una malattia cronica anziché immediatamente mortale, è stato scoperto solo a metà degli anni Novanta. La gente continuava a morire molto velocemente, anche se non così velocemente come negli anni ’80, quando non c’era alcun farmaco, e inoltre le persone erano stremate dalla lotta politica contro questi governi repressivi per ottenere aiuto per questa epidemia che stava uccidendo così tanti uomini gay. Poi c’è stato anche, e credo sia un elemento molto forte, l’invenzione della videocamera. Forse dovremmo ringraziare la Sony per questo movimento, perché ha inventato questa nuova videocamera a basso costo che ha permesso alle persone di fare film, prima cortometraggi e poi lungometraggi, senza dover frequentare una scuola di cinema. All’epoca c’era un monopolio industriale sul mezzo cinematografico. Bisognava essere formati, sapere come fare le esposizioni, entrare in un sindacato, conoscere un direttore della fotografia. Le cineprese erano costose, le pellicole erano costose e per le riprese occorrevano impianti che fornissero una forte illuminazione.
E improvvisamente tutto è cambiato. La gente usciva direttamente dalla scuola d’arte, e in una maniera molto più sperimentale, prendeva queste telecamere e abbatteva le barricate del cinema. Non solo ha dato accesso a una gamma più ampia di persone alla produzione cinematografica, ma ne ha anche abbassato i costi. Quindi ha creato un nuovo tipo di estetica, un nuovo tipo di linguaggio cinematografico che era molto adatto a quel momento. Il quarto aspetto, e non lo sottolineerò mai abbastanza nel 2022, era l’economicità degli affitti. Non costava molto vivere. Affitti a buon mercato è solo un modo di dire, ma in realtà era l’intera economia negli Stati Uniti della fine degli anni ’80 e dell’inizio degli anni ’90. Si poteva avere un lavoro, si poteva avere del tempo libero, si poteva lasciare il lavoro e sapere che se ne sarebbe trovato un altro. Si poteva avere un appartamento che costava pochissimo. Gli studenti non erano indebitati. Il sistema del debito studentesco negli Stati Uniti, che oggi terrorizza e mette in pericolo le persone, allora non era un qualcosa di rilevante. Ora è completamente diverso, come se fossimo tornati al Medioevo. Stiamo vivendo una sorta di neo-feudalesimo in cui le persone vengono nuovamente ridotte a contadini o a signori di corte.
Questi sono i quattro aspetti che secondo me hanno creato le condizioni per questo nuovo movimento cinematografico. C’era un pubblico affamato di rappresentazioni di se stesso, esausto per le lotte contro l’AIDS e bisognoso di essere svagato dagli artisti, cosa che non sempre accade. Quindi c’era un appetito, c’era una fame e allo stesso tempo c’erano questi nuovi strumenti per cercare di soddisfarla. Era anche il periodo di massimo splendore dell’inizio della “performance art”: le persone si muovevano tra diversi settori artistici, passando dal video al film alla performance nei bar, negli spazi alternativi, creando una combinazione di fattori molto eccitante. Se si pensa agli inizi del cinema, si avevano forti infiltrazioni del teatro e del vaudeville4 . Quindi, ancora una volta, abbiamo un momento in cui le espressioni artistiche si muovevano tra diversi settori inventando nuovi generi. Credo che sia stato un momento unico per la cultura queer. Ho quindi inventato questo termine per cercare individuare coralmente in questa nuova atmosfera culturale molti dei nuovi film che stavo vedendo e che mi piacevano molto.


2 Organizzato da Teresa de Lauretis, accademica e scrittrice italiana che all’epoca era in residenza presso l’Università di Utrecht.

3 Rivista cinematografica mensile inglese pubblicata dal British Film Institute (BFI).

4 Tipo di spettacolo popolare soprattutto negli Stati Uniti e nel Regno Unito all’inizio del XX secolo, caratterizzato da una miscela di rappresentazioni speciali come il burlesque, la commedia e le esibizioni di canto e danza.

 

Paolo: Quali sono state le principali conseguenze estetiche o tematiche determinate dai fattori che hai descritto nella produzione cinematografica Queer?

Rich: Un primo effetto era l’assenza del “politicamente corretto”. Le persone erano stanche di cercare di presentare una buona immagine da dare all’immaginario pubblico eterosessuale. Questo influisce anche sull’estetica del film, perché se le persone sentivano che stavano facendo film per essere guardati specificamente da un pubblico queer, potevano fare tipi di film diversi rispetto a quelli che avrebbero visto il loro professore, la loro madre o il loro padre o il loro vicino di casa. C’era il desiderio di uscire dall’idea di proporre immagini positive: si volevano trovare anche i cattivi, come nel film di Tom Kalin “Swoon” sugli omicidi di Leopold e Loeb a Chicago. Il senso era: se agite questo tipo di repressione, creerete questo tipo di comportamento mostruoso. Oppure il film di Gregg Araki “The living end”: se gli eterosessuali possono avere Bonnie e Clyde, perché noi non possiamo avere Clyde e Clyde? I suoi protagonisti hanno l’AIDS e si mettono in viaggio senza nulla da perdere. Non era un film originale come genere cinematografico, l’originalità è stata l’inserimento di uomini gay come criminali in fuga. Inoltre, poiché all’inizio si usavano le videocamere, c’era un tipo di estetica video molto diversa, molto più nitida, con molti spigoli, molto più postmoderna che modernista, tagli non tradizionali, inquadrature non tradizionali, meno obbedienza alle convenzioni cinematografiche.

Paolo: Qual è stato nel XXI secolo il principale cambiamento nella cinematografia LGBTQ+?

Rich: Direi che il cambiamento principale consista nei finanziamenti. I primi film venivano realizzati con pochi soldi mentre ora costa molto di più fare qualunque cosa. Ma ora c’è un mercato ovvero il movimento NQC ha creato un mercato e l’espressione “New Queer Cinema” è diventata uno strumento di marketing. Per alcuni anni, e poi di nuovo, periodicamente, si poteva far uscire un film e descriverlo come “l’ultimo lavoro del NQC”, “una nuova svolta nel NQC”, in modo che sembrasse qualcosa alla moda. Forse oggi può sembrare retrogrado o classico, ma all’epoca, per almeno un decennio, era un termine all’avanguardia che si poteva usare per far comprare i propri film, convincere il pubblico a vederli, farli entrare nelle sale.
Inoltre, quando questi film sono stati realizzati per la prima volta, l’unico posto in cui era possibile vederli erano i festival del cinema gay e lesbico. E naturalmente, come sicuramente saprete, nel corso degli anni questi festival hanno dovuto lottare per la loro sopravvivenza perché chi produce i film immagina grandi successi commerciali e non vogliono farli includere i loro film nella programmazione dei festival LGBTQ+ per non “bruciarli”. Questo è un problema che tutti coloro che gestiscono un festival queer hanno affrontato. Così, ogni volta che un regista ha la speranza o la fantasia o l’illusione che il suo film possa essere distribuito sul mercato, dice di no ai festival queer che in passato erano l’unico posto in cui potevano essere presentati. Ho avuto molti scontri con persone che dicevano che questi festival queer non dovrebbero più esistere, perché questi festival sono importanti come sempre: non si sa mai dove sia il nuovo confine e quale sia il nuovo “focus” della cultura queer. Ogni cinque anni c’è una nuova generazione queer che vuole vedere le proprie storie mentre le loro storie non sono ancora sul mercato. Quindi c’è sempre questo spazio “di mezzo” che occupate e, come organizzatori di Queer Festival, avete bisogno del sostegno di quest* regist*.

La cosa interessante in questo momento è che, a causa del passaggio allo streaming, per di più accelerato dal COVID, la gente non va più al cinema e preferisce vedere tutto sul proprio schermo privato. Penso che ci sia una tale richiesta di “contenuti”, come si suol dire, che dovrebbe esserci molto più supporto per i film queer (da parte delle società di streaming). Sono curiosa di vedere quale potrebbe essere il risultato di questo maggiore supporto e quindi di un nuovo insieme di film. Ad esempio, uno dei film che non vedo l’ora di vedere questa primavera è di Andrew Ahn, che ha realizzato il suo primo film nel 2016: “Spa Night”. Il nuovo film è intitolato “Fire Island” e nel raccontarmelo mi ha detto che c’è molto sesso, a differenza di “Spa Night” che, almeno sullo schermo, non ne aveva. Credo che ci troviamo ancora una volta in un momento di cambiamento in cui non sappiamo esattamente cosa sta succedendo o cosa sopravviverà nel futuro.

Paolo: Hai fatto molti esempi di film americani perchè il New Queer Cinema è spesso riferito alla scena americana anche se ne abbiamo alcuni esempi anche in Europa. Pasolini può essere in qualche modo collegato al NQC ed esserne quasi un precursore?

Rich: Nel 1995 sono andata a Casarsa in Friuli per un convegno su Pasolini proprio per questo motivo. Volevano sapere se avevo fatto un collegamento tra Pasolini e il NQC e in seguito hanno pubblicato il mio saggio5 su questo argomento. Fondamentalmente, non credo che Pasolini sia un esempio di cinema NQC, ma penso che abbia ispirato la prima generazione di registi che hanno realizzato il cinema NQC, registi – come Todd Haynes, Tom Kalin e altri – che infatti erano veri e propri cinefili e conoscevano il lavoro di Pasolini. Tutti parlano sempre del primo film di Todd Hayne, “Poison”, come un omaggio a Jean Genet, ma credo che si possa interpretare anche come un omaggio a Pasolini. La sua relazione con il NQC è il modello che ha saputo ispirare, non il suo lavoro in sé. Per esempio, John Waters non è della stessa generazione di Pasolini, ma entrambi appartengono alla stessa generazione cinematografica perché Pasolini si è avvicinato al cinema tardi nella sua vita e John Waters molto presto, praticamente da adolescente. Pasolini muore nel 1975 e il primo grande film di John Waters, “Pink Flamingos”, esce nel 1972. Mi piace suppore questa sovrapposizione di “immaginari”. Ritengo che l’esempio politico di Pasolini, ovvero la sua lotta contro i fascisti, il suo modo di guardare al regionalismo, sottolineando che il luogo da cui si proviene ha un grande impatto sul modo in cui si crea, il suo esempio di una sessualità trasgressiva che potrebbe far crollare l’ordine sociale, come in “Teorema”, tutto questo è molto in sintonia con ciò che accade nei primi anni del NQC.


5 In Fiori Infuocati:  L’Eredita’ Di Pasolini Al “New Queer Cinema” (Pier Paolo Pasolini: Viers Podrenon e il mont), Vol. 1, Casarsa, Italia, 1995

 

Debora: Da diversi anni il MiX Festival è dedicato all’intersezionalità. Ci è piaciuta molto la tua ultima pubblicazione intitolata “After the New Queer Cinema: intersectionality against Fascism”. Ci spieghi il significato di una frase così d’impatto?

Rich: Dovevo scrivere una piccola monografia sul film tedesco “Madchen in uniform” (1931), di cui avevo parlato in un articolo6 all’inizio della mia carriera che rifletteva lo stesso pensiero che ho espresso nel mio primo libro, “Chick Flicks: Theories and Memories of the Feminist Film Movement”7. Ero arrabbiata per il fatto che questo film di Leontine Sagan su un collegio femminile e su Manuela, la studentessa che si innamora della sua insegnante, fosse visto come un film contro il fascismo. Era un periodo in cui mi stavo scoprendo lesbica ed ero pronta a gridarlo dai tetti. Scrissi quel primo articolo proprio quando andai a vivere con la ragazza con cui pensavo di stare per il resto della mia vita. Ero arrabbiata perché il film veniva visto come un film antifascista, mentre io sentivo che in realtà era una storia d’amore lesbica. Volevo quindi sottrarlo all’antifascismo e rivendicarlo come film queer degli esordi. Improvvisamente, durante la presidenza Trump e ora con tutti gli orrori in essere, gli odierni Stati Uniti, l’invasione russa dell’Ucraina e tanti altri problemi in altri luoghi come Bolsonaro in Brasile, ho cambiato idea. Penso che sia un film antifascista. E credo di aver esagerato nel rifiutare questa idea.
Tornando a guardarlo come un film sull’amore tra giovani lesbiche che sconfiggono il fascismo, ho pensato che ciò che viene ignorato è l’intero concetto di intersezionalità. Questo concetto è molto usato in termini di lotta alla discriminazione razziale ma credo che i festival queer, la cinematografia queer, le comunità queer debbano diventare veramente intersezionali perché non lo sono mai stati. Abbiamo sempre voluto il sostegno di tutti gli altri ma chi abbiamo sostenuto? In quest’ultimo articolo volevo quindi affermare con forza che se vogliamo sopravvivere a questi tempi duri di fascismo, dobbiamo concepire una sorta di intersezionalità queer che possa coinvolgere altre persone e fare causa comune con altre comunità che sono anch’esse sotto attacco, che sono anch’esse oppresse, che hanno anch’esse culture immaginative che sono state sviluppate come forma di resistenza. Non siamo l’unica comunità ad averlo fatto. Sono stata cresciuta come ebrea, quindi divento sempre molto nervosa se penso all’esistenza di un popolo eletto: se non si sta attent*, si arriva a un nuovo tipo di fascismo. Mi piaceva quindi l’idea di provare a collegare la cultura cinematografica queer, la cultura queer e la storia queer con la nozione di intersezionalità come modo per pensare a strategie contro il fascismo. Non ho ancora un progetto preciso, ma solo l’idea che questa sia una direzione che merita di essere esplorata. La persona che ho scelto come emblema di questo progetto è Janelle Monáe, perché penso sia di grande ispirazione. Basta dare un’occhiata al suo video musicale, “Pynk”, per capire perché l’ho scelta. Quando l’ho visto ho subito pensato che fosse più selvaggio di qualsiasi cosa abbia mai visto nel New Queer Cinema a regia femminile.


6 “From Repressive Tolerance to Romantic Liberation: Girls in Uniform (Mädchen in Uniform)”

7 Duke University Press (30 settembre 1998)

 

B. Ruby Rich
B. Ruby Rich è una studiosa e critica americana di cinematografia indipendente, latina, americana, di documentari, e di cinematografia femminista e queer. Ha iniziato la sua carriera nell’esposizione cinematografica come cofondatrice della Woods Hole Film Society. Nel 1973 è diventata direttrice associata di quello che oggi è il Gene Siskel Film Center dell’Art Institute di Chicago. Dopo aver lavorato come critica cinematografica per il Chicago Reader, si è trasferita a New York City per diventare direttrice del programma cinematografico del New York State Council on the Arts, dove ha lavorato per un decennio. Mentre viveva a New York City, ha iniziato a scrivere per il Village Voice. Si è poi trasferita a San Francisco, dove ha iniziato a insegnare, prima all’Università della California, Berkeley, e poi alla UC Santa Cruz. In qualità di docente di cinema e media digitali, ha contribuito alla creazione del programma di laurea in documentazione sociale. Nel 2013, Rich ha accettato l’incarico di redattrice capo di Film Quarterly, una rivista di cinema scientifico pubblicata dalla University of California Press, incarico che ricopre tuttora. Ha riorganizzato il comitato editoriale e rilanciato il sito web con diverse nuove funzionalità, tra cui la rubrica “Quorum” e le registrazioni video dei webinar di FQ. Nel 2017, il Barbican Theater di Londra e la Birkbeck University hanno ospitato una stagione di film e conferenze per celebrare la sua carriera di critica cinematografica, accademica e curatrice, intitolata “Being Ruby Rich”. “Oggi la Rich si è ritirata dalla carica di docente emerita della UC Santa Cruz e vive a San Francisco e a Parigi. Continua ad apparire in documentari realizzati da registi indipendenti per il cinema e per la televisione, oltre che in diverse produzioni di Criterion. Tra i suoi numerosi contributi, è nota per aver coniato il termine “New Queer Cinema”.