Dall’antichità fino al XIX secolo, la maggior parte dei corpi rappresentati nei dipinti sono stati della classe dirigente o forme idealizzate rappresentative di coloro che potevano permettersi di commissionare opere d’arte. Qui, proponiamo invece cinque artist* queer che stanno ricontestualizzando il canone figurativo europeo per rappresentare con le loro opere se stess* e le persone a loro care, affermando il valore della loro – e della nostra – esperienza attraverso la pittura.
Salman Toor
I vibranti e sontuosi dipinti figurativi di Salman Toor raffigurano momenti intimi e quotidiani delle vite di uomini giovani, bipoc e omosessuali immersi nella cultura cosmopolita contemporanea. Il suo lavoro oscilla tra il seducente, l’inquietante e il drammatico, ed è spesso composto da ambienti familiari e domestici in cui corpi spesso emarginati possono fiorire in tutta sicurezza. Al centro del suo lavoro c’è l’essenza tragicomica di ogni identità, che nel suo caso si fa anche veicolo per riflettere la crescente xenofobia della società. In quanto omosessuale e musulmano, Toor vive infatti una doppia cancellazione: in Pakistan, di lui non si parla mai come persona queer, mentre negli Stati Uniti nota le conseguenze del privilegio bianco. I suoi mondi possono essere accoglienti o incutere paura, ma ci accompagnano sempre sul confine di ciò che può essere possibile.
Jenna Gribbon
Jenna Gribbon, nata nel Tennessee e residente a Brooklyn, ha realizzato dozzine di dipinti della sua fidanzata, la musicista indipendente Torres, e della sua cerchia d’amiche. Nei suoi dipinti, l’artista cerca una mescolanza di “maternità, sessualità, umorismo e quotidianità, poiché spesso agiamo come se dovessimo relegare a ciascuna cosa parti separate di noi stess*, il che è un po’ assurdo”. I capezzoli dei suoi soggetti nudi sono realizzati al neon per sottolineare il modo in cui la pittura ha sempre oggettificato i corpi delle donne. Il suo obiettivo è ridefinire il concetto di ciò che significa guardare ed essere visti in un’epoca in cui siamo immersi dalle immagini.
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Jonathan Lyndon Chase
I ritratti dai colori vivaci e liberi realizzati da Jonathan Lyndon Chase di persone nere queer descrivono il piacere in tutta la sua complessità, includendo a volte anche tracce di violenza. “Come persona che vive con il disturbo bipolare”, ha raccontato Lyndon Chase, “è davvero importante per me dare voce a una gamma completa e complessa”. Tuttavia, il pittore è anche attento a non spettacolarizzare la violenza contro la comunità Nera, le cui discriminazioni sono già soggetto di troppe immagine diffuse sui social senza alcuna attenzione. Teste e corpi fluttuanti, che spesso si sovrappongono a motivi ambigui e colorati, popolano le sue composizioni e confondono i confini tra spazio pubblico e privato, tra sé e l’altr*.
Sasha Gordon
Nei suoi dipinti, Sasha Gordon ricrea e riflette le dinamiche che ha vissuto crescendo come una ragazza asiatica omosessuale in un sobborgo bianco dell’alta borghesia di New York, dove “tutto ciò che facevo mi sembrava un’esibizione per lo sguardo maschile”. I suoi lavori parlano infatti di male gaze, disturbi mentale, esotizzazione e mercificazione dei corpi non bianchi, e auto-rappresentazione, in una raffigurazione spietata – e per questo reale e comprensibile – del disagio con l’intimità e il corpo femminile dovuto alle pressioni della società.
Anthony Cudahy
Ricontestualizzando le immagini del passato per affrontare il presente, Anthony Cudahy parla al continuum dell’esperienza queer attraverso le generazioni. “Mi piace molto la parola ‘tenera’ perché ha due lati, uno romantico e uno doloroso”, dice riflettendo sui modi in cui stabilire un’intimità con una o più persone richieda l’atto potenzialmente pericoloso di esporre gli aspetti più segreti di sé. Con l’uso di materiali che spaziano da fotografie contemporanee a immagini d’archivio queer, fino a riproduzioni storico-artistiche, Cudahy usa il suo lessico visivo privato per creare un mondo di momenti intimi, ricordi poetici e possibilità di speranza. I suoi dipinti collocano spesso i soggetti in spazi domestici e sociali non specificati che si riferiscono a luoghi di ritrovo per la comunità, evocando allo stesso tempo lo stato transitorio dell’essere a cui l’identità sembra non riuscire a sfuggire.