Nella rappresentazione dei personaggi LGBTQ+ oltre alla quantità serve qualità - MiX Festival Internazionale di Cinema LGBTQ+ e Cultura Queer

Sono sempre di più i personaggi LGBTQ+ presenti nelle serie tv e nei film occidentali. Secondo l’ultimo rapporto dell’associazione americana Glaad, Where we are on tv, il periodo a cavallo tra il 2021 e il 2022 ha visto un forte incremento della componente queer all’interno dei principali programmi televisivi americani (che oggi consideriamo punti di riferimento anche per il mercato italiano, considerata la pervasività dello streaming e la quasi totale assenza di prodotti italiani utili all’analisi): su 775 personaggi principali, 92 sono LGBTQ+. Si tratta della percentuale record di 11,9%, un aumento del 2,8% rispetto al periodo precedente. Sono aumentati i personaggi transgender, quelli non bianchi rappresentano la metà di quelli contati, ma continuano a essere troppo pochi, a livello di identità, i personaggi asessuali e aromantici, sieropositivi o disabili.

Anche al cinema le cose stanno cambiando. Stando all’ultimo Studio responsability Index disponibile, realizzato sempre da Glaad, nei film rilasciati dagli otto più grandi studi di produzione, il 22,7% delle pellicole conteneva personaggi LGBTQ+. Non solo la percentuale è da contestualizzare rispetto al basso numero di film distribuiti durante il periodo del Covid-19, a causa della chiusura in molti Stati delle sale cinematografiche, ma è anche da notare come l’incremento della rappresentazione sia ancora prerogativa esclusiva degli uomini gay e delle donne lesbiche. 

Nonostante il significativo aumento della presenza di personaggi LGBTQ+ in un settore che a lungo ha utilizzato la rappresentazione queer per rimarcare le identità degne di far parte delle gerarchie di potere sociali da quelle che meritavano di esserne escluse – e schernite – sia sicuramente un fattore positivo, le nostre pretese di miglioramento non possono esaurirsi in numeri e percentuali sempre maggiori ma devono per forza di cose tenere conto di quali identità sono coinvolte e della qualità della rappresentazione. Dov’è, per esempio, l’esperienza di persone queer non occidentali o religiose? Cosa succede dopo i quaranta anni?

Quando ancora i personaggi queer venivano inseriti per fare rainbow-washing o per definire per contrasto le forme di mascolinità concesse dalla “norma”, per valutarne l’effettiva inclusione all’interno della storia si utilizzava il test di Vito Russo, dal nome di un grande attivista americano, autore del saggio “Lo schermo velato”, in cui analizzava appunto la rappresentazione queer al cinema. Il test prevedeva tre condizioni da rispettare, alcune più facili di altre: la presenza di un personaggio che si identifica come gay, lesbica, bisessuale o trans; gli elementi che caratterizzano il personaggio non devono limitarsi al suo orientamento sessuale o identità di genere ma essere complessi e sfaccettati; la storyline del personaggio deve essere tanto intrecciata alla trama principale che, se morisse, tutta la storia ne subirebbe le conseguenze.

Oggi il test di Vito Russo mostra molti limiti. Sono infatti sempre più i personaggi LGBTQ+ protagonisti di supporti audiovisivi o la cui presenza è assolutamente essenziale alla trama, ma persistono ancora dei tropi che sembrano duri a morire. Sicuramente molto più di quanto lo siano stati i personaggi queer nella storia del cinema. A un certo punto sono stati così tanti i personaggi LGBTQ+ a essere uccisi che lo stesso meccanismo narrativo è diventato un vero e proprio tropo: “Bury your gays”, si diceva, “sotterra i tuoi personaggi queer”. Persone bisessuali, asessuali o intersex erano completamente assenti, mentre le persone trans venivano interpretate da uomini mascherati e alle donne lesbiche erano destinate solo la recita in costume, il rapporto intellettuale e platonico, l’amore ridotto all’amicizia. Le cose non sono ancora del tutto cambiate, eppure la rappresentazione resta uno strumento essenziale per scoprire il proprio posto nel mondo e imparare a navigarlo. È anche per questo che festival di cinematografia queer, come il MiX, sono importanti: permettono di accedere a rappresentazioni difficilmente disponibili sulle piattaforme mainstream, sia in termini di identità rappresentate che di qualità narrativa, ampliando la possibilità di ognun* di riconoscersi ed consentendo di esplorare narrazioni diverse dal proprio sé. Abbiamo bisogno di storie migliori, non solo di numeri da incasellare in un report.